In occasione dell’ 11° retail & consumer summit del sole 24 ore, tenutosi ieri presso la sede del gruppo, è stata analizzata in ogni sua parte la condizione del retail. A tutti i dubbiosi, l’evento ha affermato che “siamo salvi, il retail non è morto. Anzi.”
Bisogna però tenere d’occhio il cambiamento, inevitabile e repentino, non solo del retail ma anche del consumatore, e uno tira l’altro. Siamo quindi a un punto di svolta in cui è necessario conoscere lo scenario per orientarsi al meglio. Ma come? Il fisico esisterà ancora, è una certezza, ma in modo diverso, diventando più un’esperienza che può anche prescidere dall’acquisto. Anche se il successo e la conversione sono il risultato ultimo, non per forza i negozi fisici dovranno limitarsi a vendere e da punti vendita diventare punti di incontro, di esperienza, di conoscenza e divertimento.
Tra tavole rotonde, speech e interventi è quindi emerso che le aree extraurbane avranno ancora molto retail fisici e continueranno a esistere i grandi centri commerciali in quanto tali, mentre in quelle urbane dovranno ampliare l’aspetto commerciale con intrattenimento, diventando veri e propri luoghi di aggregazione.
Data per consolidata la “salvezza” del retail fisico bisogna capire come avverrà la trasformazione in simbiosi con il canale online. Non si può fasciarsi gli occhi e far finta che non esista, nè puntare tutto sull’ecommerce. La strategia dovrà parlare un linguaggio multicanale. Anche questa non è una novità ma dietro le tante parole stanno poi dei fatti, del lavoro da fare e bisogna capire come.
Internet infatti dove arriva disintermedia ma serve portare il valore verso il cliente, mediando tra digitale e fisico; oltre 80% piccoli esercenti sa che il digitale può aumentare le vendite, ma al di là di questa il valore passa dall’informazione e dalla profilazione del cliente, che è ormai un omniconsumatore. “Il 73% dei consumatori è omnicanale, solo il 7% acquista solo online e il 20% solo offline; 2 su 3 si informano online prima di acquistare e 9 su 10 acquistano nel punto vendita – ha riportato Guido Madella, business developer manager di KFI“. “La sfida per il retailer è fornire un’esperienza d’acquisto unica – continua -, proponendo formati quali click and collect, try and send, prenota ritira e reso in negozio. Tutto questo agendo sui sevizi back-end ma senza abusare delle tecnologie nel punto vendita con il rischio di distogliere l’attenzione del cliente”.
Interviene anche Mauro De Caro, senior account executive & commercial sales Coach Genesys, che ha affermato che “la customer experience non è qualcosa di nuovo, c’è sempre stata. ora il cliente deve percepire il brand come unico, avere cioè un contatto unico anche se ci sono più canali. Fare omnicanalità non è solo una questione di tecnologia, bisogna fare customer experience in ottica omnicanale.”
Di omnicanalità ne sa qualcosa Alberto Brenta, head of omnichannel Miroglio Fashion, che ha spiegato l’approccio dell’azienda al digital: “Vendita assistita e negozio fisico sono le nostre basi. Da qui abbiamo costruito il nostro concetto di retail 4.0 caratterizzato da un’esperienza coerente su tutti touchpoint e il più possibile assistita. La tecnologia ci ha permesso di fare questo ma anche se gioca un ruolo fondamentale, non è la protagonista. Abbiamo agito prima sul back-end e solo dopo sul front-end: non abbiamo sviluppato un app cliente ma dotato i punti vendita di app che permetta ciò. L’omnicanalità non è un punto di arrivo ma di partenza. Inoltre puoi avere una strategia omnicanale se il personale ci crede e ha voglia di fare; bisogna fare formazione”.
Tra i relatori anche Gabriele Tubertini, direttore IT e organizzazione Coop Italia: “Ci serviamo di più canali per rafforzare i punti cardine della nostra realtà, avendo così tante referenze però non è stato facile gestire il canale online. Abbiamo valorizzato i prodotti a marchio su una piattaforma unica. Abbiamo digitalizzato l’approvazione dei prodotti da parte dei soci; quello che una volta veniva fatto in riunioni e tanto tempo ora avviene online grazie all’analisi sensoriale fatta dai soci comodamente da casa”.
L’ultimo concetto che ci siamo portati a casa è che il cambiamento digitale è un problema culturale, come tutti i cambiamenti d’altronde. Molti dirigenti infatti sono ancora legati a dinamiche ormai obsolete e fanno fatica ad adattarsi alla situazione attuale. Ma cambierà anche questo.