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In Italia il 73% degli investitori advertising conosce poco le “Attention Metrics” e il 10% non ne ha mai sentito parlare

Negli ultimi anni i brand si trovano sempre più a competere per colpire l’interesse del consumatore: in risposta a questa situazione, sta emergendo il fenomeno legato alle Metriche dell’Attenzione (Attention Metrics). Per misurare l’attenzione dell’utente, i Media si avvalgono non solo delle views, ossia la quantità di messaggi pubblicitari a cui l’utente è esposto, ma anche del tempo (durante il quale vi pone attenzione) e dell’engagement, cioè l’intensità con cui l’utente interagisce con la pubblicità stessa. La conoscenza di questo fenomeno, però, è ancora relativamente poco diffusa tra gli investitori pubblicitari italiani.

Allargando lo sguardo allo scenario attuale dal punto di vista delle evoluzioni legate alla privacy, si evidenziano tre determinanti fondamentali: normative – a seguito dell’introduzione del GDPR, ePrivacy e dei pronunciamenti dei Garanti nazionali della Privacy-, iniziative delle big tech – ad esempio la deprecazione dei cookie di terze parti o il lancio dell’App Tracking Transparency da parte di Apple – e l’evoluzione del comportamento del consumatore in una direzione di crescente sensibilità ai temi della privacy.

“Prepararsi a uno scenario come quello “privacy by default” vuol dire dotarsi di capabilities, ovvero sistemi di targeting e di misurazione e tecnologie di tracciamento (dati di prima parte, identificatori universali, data clean room, ecc.) che siano in grado di rispondere alle sfide dei prossimi 10-15 anni. In questo senso, la chiamata all’azione non è solo rivolta agli advertiser ma anche a tutti gli altri player dell’ecosistema che devono proporre soluzioni efficaci ma soprattutto interoperabili. Quello a cui stiamo assistendo è la rimodulazione e, in alcuni casi, la ri-costruzione di nuove filiere, costruite su nuove relazioni, su partnership tra gli attori e dall’affermarsi di nuovi player terzi” dichiara Giuliano Noci, Responsabile Scientifico dell’Osservatorio Internet Media.

Queste sono alcune delle evidenze emerse dall’Osservatorio Internet Media della School of Management del Politecnico di Milano*, in occasione del convegno “Internet advertising: misurare con attenzione!”.

L’evoluzione dell’addressability: le dinamiche in atto

Negli ultimi anni, l’Internet advertising ha continuato ad acquisire rilevanza nel panorama pubblicitario italiano, raccogliendo una quota significativa degli investimenti dedicati dagli advertiser, anche grazie all’addressability, che basa le proprie fondamenta sull’ampio utilizzo dei cookie, utili alla targetizzazione dell’utente e nel monitoraggio delle campagne. 

Di contro, le nuove linee guida del Garante [1] – e l’autoregolamentazione attuate dalle grandi società tecnologiche – hanno posto una grande enfasi su come l’utilizzo dei cookie abbia un impatto rilevante sulla privacy dell’utente: interventi che, sebbene finalizzati a limitare il tracciamento e la monetizzazione delle informazioni personali, hanno però un impatto significativo sulla mole di dati a disposizione della filiera pubblicitaria per la targetizzazione degli utenti. Gli editori hanno infatti osservato nell’ultimo anno una perdita rilevante delle informazioni in proprio possesso, che varia dal 9% – impatto registrato da alcuni siti che si rivolgono a nicchie di mercato – al 35% su testate editoriali di massa. 

“All’interno di un contesto cookieless e fortemente orientato alla privacy del consumatore, dove gli utenti stanno diventando maggiormente consapevoli dei propri diritti, è importante che la filiera abbracci soluzioni alternative, come, ad esempio, l’utilizzo degli Zero Party Data o, più in generale, dei First Party Data” dichiara Denise Ronconi, Direttrice dell’Osservatorio Internet Media. “Queste informazioni ricoprono un ruolo chiave per lo sviluppo di soluzioni d’identità alternative ai cookie, come i cosiddetti Identificatori Universali. Nel mercato oggi sono presenti diversi fornitori di queste soluzioni che poggiano il proprio approccio di identificazione dell’utente su due metodologie diverse: una deterministica, basata sull’indirizzo email, e una probabilistica, basata sulle informazioni derivanti dai cookie di prima parte e di terze parti – fin quando saranno utilizzabili – e dall’indirizzo IP”. 

Oltre alle soluzioni di identità, l’addressability pubblicitaria può avvenire anche in funzione della pertinenza dell’ambiente in cui l’annuncio è inserito: in questo caso parliamo di contextual advertising. Attraverso l’elaborazione del linguaggio naturale si abilita l’analisi approfondita del contesto e addirittura del “sentiment” di ciascuna pagina. Inoltre, il machine learning consente agli inserzionisti di allontanarsi da keyword e whitelist per affidarsi a sistemi basati sull’intelligenza artificiale, con il fine di trovare il contenuto più rilevante per il target da raggiungere.

Infine, ci sono soluzioni per l’addressability che non basano le proprie attività puramente su un targeting comportamentale o contestuale. Queste tecnologie AI-based considerano molteplici elementi specifici, come ad esempio l’Identificatore Universale, gli elementi contestuali, il formato dell’annuncio, il posizionamento, l’audience del sito sul quale è pubblicato, le performance delle campagne passate e l’engagement dell’utente.

Attention Metrics: evoluzione e nuovi scenari

Negli ultimi anni i contesti editoriali online sono sempre più fitti di annunci pubblicitari e i brand competono per avere una porzione d’attenzione da parte del consumatore: da una ricerca condotta da IAB UK [2] ogni giorno un utente è esposto a 4.000 messaggi e passa 3 ore e 32 minuti online.

In risposta a questa situazione, sta emergendo nell’industria Media il fenomeno legato alle Metriche dell’Attenzione (Attention Metrics). Secondo l’Advertising Research Foundation [3]  tali metriche possono essere definite come il grado con cui gli utenti esposti alla pubblicità siano focalizzati su di essa, in termini di tempo e intensità della concentrazione. 

“La conoscenza di questo fenomeno è ancora relativamente poco diffusa tra gli investitori pubblicitari italiani: generalmente è noto solo il termine “Attention Metrics”, mentre si ignorano le metriche e le modalità di misurazione. Infatti il 73% degli advertiser riporta di conoscere poco l’argomento o di averne solo sentito parlare con un ulteriore 10% che non ne ha mai sentito parlare. Il 69% afferma invece di conoscere poco le modalità di rilevazione e il 21% non conosce alcuna metodologia” afferma Nicola Spiller, Direttore dell’Osservatorio Internet Media. “Una volta venuti a conoscenza delle metriche di attenzione, i marketer italiani dimostrano un elevato interesse trasversale ai settori di appartenenza, percependone il forte potenziale futuro. Andando ad analizzare infine i casi pratici, l’adozione delle Attention Metrics è ancora agli albori in Italia: anche se i trend di adozione e le sperimentazioni segnalano dinamiche assolutamente non trascurabili”.

L’interesse e il potenziale percepiti fanno riferimento principalmente all’attività di ottimizzazione degli investimenti in fase di pianificazione Media: le metriche di attenzione permetterebbero infatti di riconoscere al meglio il valore delle impression che si acquistano. 

In conclusione, un elemento determinante per la crescita della diffusione di queste metriche nel mercato Media sarà la capacità di verificare e misurare la correlazione tra maggiore attenzione pubblicitaria e risultati di business.

L’evoluzione delle dotazioni di misurazione nel contesto privacy by default

La measurability è – dopo l’addressability – la seconda area che subisce un forte impatto a seguito dell’evoluzione del mondo Media verso un contesto privacy by default. Già da tempo la degradazione dei “segnali” che vengono utilizzati per la valutazione delle attività di advertising è oggetto di attenzione e di dibattito da parte dei player dell’ecosistema, in Italia e a livello internazionale. Le conseguenze, che già si sono fatte sentire e si dipaneranno anche nei prossimi mesi, sono però differenziate a seconda degli strumenti di misurazione che vengono utilizzati.

Per leggere il panorama attuale e del prossimo futuro, la Ricerca ha adottato un sistema di classificazione dei diversi strumenti di misurazione:

  • strumenti basati su logiche deterministiche, che utilizzano dati a livello granulare abbinare uno specifico utente ai propri dispositivi e mapparne il comportamento rispetto alla campagna erogata. Rientrano in questa categoria la Digital Campaign delivery measurement, l’Offline Campaign delivery measurement e i Modelli di attribuzione;
  • strumenti basati su logiche di incrementality, che rilevano la variazione di risultati rispetto a uno stato precedente o a una baseline. Rientrano in questa categoria il Brand tracking, i Brand Lift studies, e i Sales Lift studies;
  • strumenti basati su logiche di modelling, che utilizzano dati aggregati e supportano nella valutazione del ROI/ROAS e nella simulazione di scenari futuri in seguito all’attivazione di strategie alternative. Rientrano in questa categoria i modelli econometrici che includono i Marketing o Media Mix Model e i modelli basati sul Customer Lifetime Value


Gli strumenti più diffusi, ad oggi, sono quelli di Digital Campaign delivery measurement, adottati dal 67% dei rispondenti. In seconda battuta vengono adottati i tool di Offline Campaign delivery measurement (28%) e Brand tracking/Pre-post test (27%). Più limitato – soprattutto se confrontato con il panorama internazionale – l’utilizzo di strumenti avanzati come i Marketing Mix Model (21%) o i modelli di attribuzione (7%). Nel prossimo futuro, tuttavia, si prevede un ricorso più forte agli strumenti di misurazione basati su approcci di Incrementality e Modelling, approcci che, come emerso dalla Ricerca, risultano essere impattati in modo meno severo dall’evoluzione del contesto. I rispondenti hanno dichiarato che inizieranno ad utilizzarli nel prossimo futuro rispettivamente nel 35% e 36% dei casi, mentre il 17% e 18% che già ne fa uso, ne aumenterà ulteriormente l’applicazione.