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Robot: siamo pronti a voler bene ad una macchina?

Robot: siamo pronti a voler bene ad una macchina?

Sul Magazine New Yorker, Patricia Marx, famosa scrittrice e docente di Princeton, afferma che “Numerosi studi hanno dimostrato che gli umani sono disposti a provare emozioni nei confronti di tutto ciò che si muove. Di conseguenza, non mi dovrei sorprendere di essere accorsa a liberare il mio Roomba (il robot aspirapolvere, ndr) quando si è incastrato sotto il divano. E di essermi sentita in colpa quando, dopo aver tirato su un filo, le sue ruote si sono incastrate”.
Ciò che la docente ci descrive non è certo un caso isolato.
In uno studio tedesco ci viene dimostrato come il cervello umano reagisca negativamente nel momento in cui a un soggetto viene mostrato un video dove un robot giocattolo a forma di dinosauro, soprannominato Pleo, veniva maltrattato da un essere umano.

Lo stesso Pleo è stato utilizzato per un esperimento della ricercatrice Mit Kate Darling: qui si chiedeva ai partecipanti di torturalo. Molti di loro si sono rifiutati di procedere.

Vi è mai capitato di vedere il video dove un ingegnere di Boston Dynamics picchia un robot prodotto dalla azienda? Immaginate quale reazione potreste avere?

I robot: le reazioni umane

La reazione più comune, anche tra i militari, è una sensazione spiacevole. Più volte sono state sospese esercitazioni dove dei robot stavano subendo dei gravi danni, o venivano abbandonati durante scontri a fuoco, definendo queste azioni disumane.
Questo ha probabilmente un perché: sicuramente tutto ciò che si muove ci ricorda qualcosa di vivo, di conseguenza il nostro cervello si deve ancora adattare a interagire con esseri artificiali.

Così come sviluppiamo un legame affettivo verso la nostra automobile, come potremmo essere indifferenti nei confronti di un robot con caratteristiche umane o animali?

La teoria dell’attaccamento

Nella teoria dell’attaccamento si sostiene che gli esseri umani hanno un’eccellente capacità di antropomorfizzare tutto ciò con cui affrontano la loro quotidianità e con cui combattono qualsiasi tipo di ostacolo.

Cosa ci immaginiamo per il futuro, quando i robot saranno impiegati in tutti gli ambiti della nostra vita? Questi strumenti antropomorfi diventeranno elementi sociali a cui riserveremo cure e attenzioni? O potrebbe accadere la situazione inversa dove gli essere umani diventeranno gelosi dei Robot e proveranno repulsione nei loro confronti?

Su Uncanny Valley Teory si parla dell’inquietudine che l’uomo prova nei confronti di un robot molto simile a lui. La troppa somiglianza porta l’uomo ad essere empatico nei confronti della macchina fino a quando, superato il limite, il robot inizia ad apparire troppo umano e quindi troppo inquietante.
Su Inverse si afferma che questa “potrebbe essere una reazione evolutiva, in cui i nostri sensi individuano delle caratteristiche in qualcuno (o qualcosa) che solleva l’allarme”. Come se questi robot ci volessero ingannare e facessero scattare nell’essere vivente una reazione difensiva. Ma tutto ciò potrebbe essere spiegato anche come “una risposta istintiva del nostro cervello, che cerca di risolvere la dissonanza cognitiva causata dal vedere qualcosa che sembra un uomo ma che sappiamo non esserlo”.
La mente umana è forse disposta a difendere i Robot fino a quando non assomigliano troppo agli umani e  non vengono toccati temi inopportuni come la rivolta delle macchine e la sostituzione delle macchine all’uomo per quanto riguarda l’ambito lavorativo, i rapporti sociali e la cura delle persone.
Uno studio inglese sull’intelligenza artificiale ci spiega come la popolazione siamo molto preoccupata per il proprio futuro a causa dell’avvento dei Robot.
Affezionarsi a un robottino come Pleo è umano, così come provare compassione verso i robot che vengono trattati male. Tutto ciò cambia quando queste macchine tecnologiche diventano importanti nella nostra società.

La realtà giapponese

In Giappone tutti questi timori non hanno una ragione d’essere. “I giapponesi, la cui popolazione sta rapidamente invecchiando, sono ufficialmente incoraggiati dallo stato ad affidarsi ad aiutanti robot in grado di tenere compagnia agli anziani”, racconta su Aeon Margaret Boden, docente di Scienze cognitive all’università del Sussex. “I robot vengono preferiti agli immigrati e anche agli stranieri con un permesso di soggiorno permanente”. Nel 2010, una foca-robot terapeutica ha ricevuto la cittadinanza giapponese; così com’è avvenuto in passato per altri robot.
Anche il primo ministro Shinzo Abe sta incentivando lo sviluppo robot in grado di prendersi cura degli anziani e tenere loro compagnia, fino a farli diventare ufficialmente membri di famiglia.
Non solo: le linee guida etiche stilate dalla Società giapponese per l’intelligenza artificiale immaginano che i robot possano diventare membri della famiglia. Le ragioni di questi comportamenti sono radicate nella tradizione culturale shintoista, dove non esiste una così netta distinzione tra il mondo animato e quello inanimato. E questo vale a maggior ragione per i robot.

I rischi

L’homo sapiens è una specie estremamente sociale e, per essere felice, non ha solo la necessità di soddisfare i bisogni essenziali come la fame ma, deve necessariamente appagare esigenze che riguardano l’amore, il senso d’appartenenza, la stima, il rispetto e la dignità. Questi sono elementi essenziali affinchè gli uomini del Mondo Occidentale‘stiano bene’.  Possiamo davvero raggiungere tutto ciò con l’uso dei Robot?

La paura è quella ritrovarci a vivere sempre più isolati l’uno dall’altro, riempiendo gli spazi vuoti con un robot. Il maggior rischio a cui possiamo andare incontro è quello della solitudine. Come afferma Kathleen Richardson, docente di Etica e cultura robotica, in un’intervista a Wired Italia “La solitudine delle persone non si sconfigge con le macchine, ma solo con altre persone. Le macchine ci possono soltanto distrarre. La solitudine si risolve invece ritornando a una società che valorizzi i rapporti tra le persone. Più robot portano solo a un maggiore isolamento”.

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