
Nel pomeriggio della prima giornata della Milano Digital Week a casa Microsoft si è parlato di customer journey e della sua trasformazione. Una trasformazione che come altri settori ha colpito il mondo Retail nella sua interezza e lungo tutta la filiera. A testimoniare il cambiamento sono proprio i consumatori che con l’adozione di nuove tecnologie e nuovi costumi hanno iniziato già da qualche tempo a richiedere esperienze di acquisto differenti da quelle tradizionali. Secondo una ricerca di Capgemini, riproposta nel corso dell’evento, un terzo dei consumatori coinvolti nel sondaggio preferisce restare a casa a lavare i piatti invece che recarsi in-store a fare shopping. Dato che assume un valore ancora più rilevante se si considera che secondo la stessa indagine più del 40% dei consumatori che acquista all’interno dei punti vendita compie l’azione senza alcun tipo di trasporto.
Le esigenze degli shopper sono quindi cambiate. Certo, l’esperienza di acquisto in-store continuerà a offrire degli aspetti particolari che difficilmente verranno a meno nel tempo. Basti pensare alla dimensione sociale che l’azione stessa di fare acquisti ha in sé, nonché a tutta quella carica di esperienze sensoriali difficilmente riproducibili online. I retailer, però, non possono ignorare importanti segnali di disaffezione lanciati dal nuovo consumatore digitale nei confronti dei meccanismi di vendita tradizionali. Il problema di molti commercianti è proprio questo: proporre un modello di vendita che ignori l’evoluzione delle nuove modalità di acquisto dei clienti. In alcuni casi i venditori sono anche ben consci di questa evoluzione e hanno cercato di allinearsi al mercato vendendo online. Un’azione che oggi non è più sufficiente. Ridurre i principali canali di vendita a dei compartimenti stagni è uno degli errori più comuni e Oscar Grignolio (nella foto a destra), Group CIO di Dolce&Gabbana, lo ha fatto intendere senza troppi giri di parole: «La vendita non si distingue più tra ecommerce e negozio fisico, esiste semplicemente LA vendita. Oggi è tutto trasversale, il consumatore è abituato ad adottare più canali simultaneamente. Se andando in-store non trova la taglia del vestito visto poco prima dal proprio smartphone si aspetta di poterlo ordinare online autonomamente o tramite il negozio stesso».
Il consumatore odierno è appunto un consumatore autonomo, una persona che si aspetta di trovare nei punti vendita tradizionali gli stessi vantaggi e la stessa semplicità che trova online. Un fattore che ogni azienda che fa retail dovrebbe sempre tenere a mente. Come ricordato da Massimo Fubini (nella foto a sinistra), fondatore di Contactlab, gli utenti cross-canale sono quelli più importanti. Questi clienti, infatti, acquistando da più canali hanno la possibilità di acquistare di più per il semplice fatto che possono farlo da qualsiasi piattaforma e in qualsiasi momento. Per rispondere a questa sovrapposizione di canali le aziende devono però ripensare non solo il loro modello di business rivolto al consumatore ma anche la propria struttura interna. Come sottolineato, a ragione, da Alceo Rapagna, chief digital officer del Gruppo OTB, la speranza è che fra qualche anno la figura del responsabile digital dell’azienda scompaia del tutto. Il problema dei compartimenti stagni è valido anche per la struttura aziendale: «Se il chief executive officer non diventerà un digital chief executive officer non si andrà da nessuna parte», ha dichiarato Rapagna. Il concetto è semplice. Il Retail, oggi, deve essere considerato un unico grande spazio aperto al cui interno confluiscono tutti i canali di vendita, dove il cliente deve avere la possibilità di agire in maniera più autonoma possibile e dove non ci siano distinzioni aziendali tra chi si occupa di canali differenti. L’obiettivo è costruire e consolidare una macchina composta da varie dimensioni ma allo stesso tempo compatta, in grado di seguire un’unica direzione.