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Il mondo è un’astronave, l’intelligenza artificiale ci aiuta a condurla nella giusta direzione

Il mondo è un’astronave, l’intelligenza artificiale ci aiuta a condurla nella giusta direzione

Mi ricordo quando da bambino si parlava di intelligenza artificiale e, subito, si apriva nell’immaginario collettivo una serie di connessioni fantascientifiche di un futuro lontano lontano, con macchine volanti e robot pronti a guidare una ribellione. Nel 2019, invece, parlare di intelligenza artificiale è diventata azione quotidiana, specialmente per chi, come noi, lavora nel mondo digitale, diventando qualcosa di pratico e quotidiano.

Secondo i dati rilasciati dal Politecnico di Milano, in particolare dall’Osservatorio Artificial Intelligence, infatti, il mercato italiano dei progetti legati all’AI (che hanno già coinvolto il 12% delle medio-grandi imprese), vale già 85 milioni di euro: numeri importanti per un settore in forte crescita e dalle ampie prospettive. Se poi vengono considerati anche gli assistenti vocali intelligenti – un mercato nuovissimo e capace di generare già 60 milioni di euro nel 2018 – e i robot autonomi e collaborativi usati in ambito industriale – mercato che valeva già oltre 145 milioni di euro nel 2017 – i numeri crescono notevolmente.

Come immaginabile, si tratta di un fenomeno molto complesso: per questo, volendo analizzarlo al meglio, abbiamo deciso di scambiare quattro chiacchiere con Piero Poccianti, presidente dell’Associazione Italiana per l’Intelligenza Artificiale (AIxIA).

L’AIxIA è il principale organo in Italia quando si parla di intelligenza artificiale. Come e quando nasce?

L’Associazione nasce nel 1988, l’anno successivo all’Ijcai, la più grande conferenza al mondo sull’intelligenza artificiale che ogni anno si tiene in Paesi diversi – ad agosto sarà a Macao – e che, nel 1987, si tenne in Italia. Nello stesso anno, inoltre, ci fu anche l’ECAI, la conferenza europea dedicata all’AI: una coincidenza particolare e che si ripeterà ancora nel 2022, sempre in Italia (a Bologna). Un altro segnale di quanto l’Italia sia centrale nella questione intelligenza artificiale.

L’Associazione nasce, quindi, in un periodo (quello di fine anni ’80) in cui ancora chi parlava di AI veniva preso in giro, con l’obiettivo di unire sotto un unico cappello i ricercatori e le aziende che si interessavano all’argomento. Nel tempo queste ultime, però, si sono perse e le stiamo riacquisendo solo ora: a differenza dei ricercatori, infatti, le aziende sono suscettibili ai periodi entusiasmo e di delusione. Nel primo caso si acquisiscono, nel secondo si perdono.

Ad oggi, come AIxIA, organizziamo ogni anno un evento scientifico per i soci, eventi divulgativi per i ragazzi – in cui trattiamo l’impatto sociale, economico e ambientale dell’AI – e, da quest’anno, anche un evento per le aziende chiamato AI forum. Inoltre, ci stiamo impegnando a spingere Claire: si tratta di un lavoro europeo il cui scopo è riunire tutti i laboratori di intelligenza artificiale (anche i più piccoli), mettendo al centro l’uomo – come da filosofia europea, in cui l’AI deve essere utilizzata per servire l’uomo e non contro l’uomo – e spingendo sugli attuali limiti dell’AI.

Qual è la geografia mondiale riguardo l’AI?

Esistono, essenzialmente, tre grandi blocchi: statuinitense, cinese ed europeo.

Negli USA le ricerche, anche quelle di base, sono portate avanti dalle aziende, che ormai han più potere degli stati; in quello cinese, che sta emergendo in modo forte, hanno un piano in tre step per portarli da qui al 2030 ad essere il leader mondiali dell’intelligenza artificiale; in Europa, invece, il punto di vista è molto diverso dagli altri due e mette benessere, uomo e pianeta al centro.

Ad oggi, nonostante una grande emorraggia di talenti che se ne vanno, l’Europa è ancora leader mondiale dell’AI. Bisogna capire, però, per quanto. Sono fermamente convinto che se l’Europa si muove bene, creando, ad esempio, architetture diverse dagli attuali grandi cloud – con archittetture in cui l’elaborazione venga fatta il più vicino possibile a dove viene creata – possa continuare ad esserlo. Il problema principale da affontare è la disgregazione: essendo l’Europa una comunità e non un singolo Stato, bisogna essere in grado di creare una politica sull’AI che sia comune.

Ad ora quali sono i principali sviluppi dell’AI?

Al momento abbiamo grande successo sulle tecniche di pattern recognition, ovvero nell’individuazione delle sensazioni. In passato abbiamo lavorato tanto con la logica e il ragionamento, ma questi non aiutano a capire una situazione a colpo d’occhio.

La diagnostica (soprattutto medica), il supporto alle decisioni e gli assistenti virtuali, che sono un mercato che sta diventando abbastanza solido, sono gli sviluppi più interessanti. Un altro settore è sicuramente la robotica, anche con la capacità di comprendere le emozioni e i sentimenti: esistono già macchine che, attraverso i social network, percepiscono il sentiment con cui viene espresso un certo concetto. Se dico “l’Italia è un bel Paese”, a seconda del modo in cui lo dico e del contesto in cui lo scrivo, può essere un’affermazione o un’affermazione retorica. Ad oggi le macchine questa differenza riescono già a capirla.

A proposito di robot: crede che possano avere una reale applicazione negli store fisici?

Esistono applicazioni pilota in banca, negli store fisici, negli alberghi e nei ristoranti. Tralasciando però l’effetto pubblicitario, credo che la loro applicazione sia un mercato di nicchia, soprattutto per i negozi o la grande distribuzione.

Possiamo pensare a robot che ottimizzano la disposizione e il rifornimento di prodotti sugli scaffali, a cuochi semi automatici nell’area food, a macchine che gestiscono alcune fasi ripetitive, ma è più facile e realistico ipotizzare usi massivi di assistenti in mano al cliente, a macchine self service per il pagamento alle casse (o persino per sostituire le casse), più che ad un utilizzo massiccio di robot.

Intelligenza artificiale

Quali sono le principali applicazioni dell’AI per i negozi offline? E i trend per il prossimo futuro?

Esistono molte applicazioni pilota, ma per ora non c’è una vera penetrazione e diffusione di strumenti in questo settore. Tali applicazioni hanno lo scopo di migliorare l’interazione con il cliente, fornendo suggerimenti, descrizioni di prodotti e recensioni di altri utenti inquadrando il prodotto sullo scaffale con il proprio smartphone, oppure interagendo con un assistente dotato di telecamera. Altre invece sono in grado di capire il comportamento del cliente, quanto si ferma davanti ad un prodotto, quale percorso predilige, ecc. Tutte informazioni che consentono al negozio di ottimizzare il proprio layout e al contempo di incontrare le esigenze del consumatore. Senza dimenticare anche la tendenza al self service, già molto diffusa soprattutto nella grande distribuzione. L’Intelligenza Artificiale incrementerà questa tendenza, ma non sostituirà completamente la presenza umana, rimarrà sempre infatti il bisogno di interfacciarsi con un’altra persona.

E per quanto concerne, invece, l’eCommerce?

Oggi stiamo assistendo allo sviluppo di un numero sempre maggiore di assistenti virtuali capaci di fornire consigli personalizzati ai clienti e di suggerire prodotti e servizi adatti alla singola persona. Sono applicazioni presenti sui siti, sugli smartphone o sugli assistenti vocali (come Amazon Echo, Google Home, ecc.). Esistono anche strumenti in grado di analizzare grandi moli di dati (si pensi ad esempio a quelli presenti sui social network), di cogliere la predisposizione di un utente ad acquistare un prodotto esistente o uno che potrebbe essere realizzato, oppure effettuare l’analisi del sentiment di determinati clienti verso un brand.

Sono software e servizi in continuo aggiornamento, capaci di percepire, ma ancora con poche capacità di ragionamento. In futuro, bisognerà integrare le varie facoltà dell’AI e affinare così la capacità di suggerire il prodotto giusto per il singolo utente non solo sulla base della percezione, ma anche secondo regole opportune. Per esempio, se un consumatore ha appena comprato una lavatrice, non dovrà essergli più proposto l’acquisto di questo elettrodomestico, come invece oggi accade.

E come cambierà il futuro del retail grazie all’AI?

Per pensare al futuro del retail dobbiamo prima porre fine alla crisi che stiamo vivendo, dovuta principalmente al modello economico dominante che sta producendo sempre più disuguaglianze e un impatto ambientale non più sostenibile.

Se non fosse così, il retail subirà infatti contraccolpi disastrosi, mentre se riuscissimo nell’obiettivo proponendo modelli alternativi sostenibili, lo scenario potrebbe apparire davvero interessante. Potremmo avere strumenti capaci di ridurre i consumi e gli sprechi, di consigliare come soddisfare i propri bisogni e desideri, in una modalità rispettosa dell’ambiente e diminuendo le diseguaglianze. Gli assistenti virtuali, istruiti in tal senso, potrebbero indirizzare il consumatore ad ottimizzare i propri comportamenti, ridurre il packaging (pensate alla plastica), consumare meno, puntando sempre alla crescita del benessere delle persone.

Nella concezione comune l’intelligenza artificiale provoca però anche reazioni di paura. Crede che possa davvero sfuggire dal controllo umano?

Al momento è fantascienza: noi abbiamo delle macchine con un certo grado di autonomia, però il problerma fondamentale è cosa esprimiamo noi: siamo abituati ad esprimere degli algoritmi, ma qui esprimiamo degli obiettivi. Se noi diciamo alla macchina, ad esempio, che il nostro unico fine è quello di guadagnare denaro, lei cercherà tutti gli strumenti per realizzarlo, ma nel farlo, magari, licenzierà delle persone. Se, invece, diciamo alla macchiana che il nsotro obiettivo è il benessere, lei cercherà di raggiungerlo. Poi accanto ci devessere sempre l’uomo: quando mi dicono che le macchine devono imparare da noi però a me viene in mente l’Apartheid, la Shoah o quello che sta accadendo in Congo e penso “forse è meglio di no”.