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Disruptive Data: l’importanza dei Big Data nella trasformazione digitale

Disruptive Data

Lo scorso 5 maggio si è conclusa a Viterbo la prima edizione di Disruptive Data, evento organizzato dal Dipartimento di Economia, Ingegneria, Società e Impresa dell’Università degli Studi della Tuscia di Viterbo (DEIM), ByTek Marketing e TAG Innovation School che in collaborazione con l’Ordine degli Ingegneri di Viterbo hanno dato vita a una giornata di approfondimento sulle tematiche dei Big Data, del Machine Learning e dell’IoT. Per sapere qual è stata la risposta del territorio e delle imprese alla manifestazione e fare il punto sul ruolo dei Big Data e sul loro utilizzo da parte delle aziende italiane abbiamo raggiunto la prof.ssa del DEIM Barbara Aquilani, tra le organizzatrici dell’evento.

Disruptive Data
Barbara Aquilani, prof.ssa del DEIM

Come è nata l’idea di organizzare il Disruptive Data?
Disruptive Data nasce dall’idea di esportare i concetti e le teorie dell’insegnamento “Marketing e Big Data Analytics” — attivato nel 2016 all’interno del corso di Laurea Magistrale Marketing e Qualità dell’Università degli Studi della Tuscia di Viterbo — oltre i confini accademici, verso un pubblico più trasversale formato sia da studenti ma anche dalle imprese del territorio e da professionisti provenienti da vari settori. Da un punto di vista più tecnico e divulgativo, l’obiettivo era invece parlare di Big Data sia dal lato statistico che da quello relativo all’evoluzione dei software, scopo perseguito tramite il contributo delle altre anime del Dipartimento di Economia, Ingegneria, Società e Impresa: quella informatica e ingegneristica.
Gli studenti hanno avuto modo di interagire con le imprese del territorio?
Sì, attraverso le tavole rotonde è stata data la possibilità agli studenti di interagire con i relatori e approfondire gli aspetti più interessanti del loro lavoro. La vera opportunità di networking è però quella del “Testimonial Day”, evento che l’Università di Viterbo organizza ogni anno per permettere al laureando o al neolaureato di incontrare le imprese e presentare il proprio CV. In questo caso, però, a differenza dei tradizionali “Career Day”, gli studenti possono partecipare a delle sessioni in cui le imprese e i giovani che lavorano dentro le imprese raccontano la loro esperienza: come sono entrati nel mondo del lavoro, come sono entrati in contattato con l’impresa, che tipo di carriera hanno svolto, qual è la loro aspettativa di carriera futura e via dicendo.
Le aziende sono consapevoli che investire sull’analisi dei Big Data ha un ruolo fondamentale nella trasformazione digitale del Paese?
A mio avviso non sono molto consapevoli. Il panorama è molto frammentato. Ci sono realtà piccole e medie che ancora non hanno implementato siti efficienti e dove spesso il termine Big Data suscita molta perplessità ed estraneità. Dall’altra parte ci sono delle aziende che, indipendentemente dalla dimensione, hanno una cultura e una mentalità più predisposta agli aggiornamenti provenienti dall’ambito tecnologico, aziende consapevoli che investire sui dati significa investire sul futuro della propria azienda.
Da che settore provengono i player più consapevoli?
Durante la plenaria, Ofer Sachs, ambasciatore di Israele in Italia, ha individuato nel campo bancario e in quello assicurativo i settori più evoluti in tale campo. I settori meno sviluppati, invece, sono quello manifatturiero e più in generale le aziende che lavorano in ambito B2B, dove essendo il rapporto con il cliente molto diretto spesso viene fatto affidamento più sulla conoscenza diretta che sull’acquisizione di dati.
Quali sono i cambiamenti che i Big Data stanno apportando al mondo Retail?
All’interno del punto vendita i Big Data vengono sfruttati ancora poco, così come tutti quegli strumenti che permettono l’acquisizione del dato del consumatore. Ci sono i programmi fedeltà, alcuni store si stanno attrezzando con tecnologie particolari per studiare i comportamenti degli shopper ma sono strumenti fortemente legati alla volontà del consumatore stesso: è il consumatore che alla fine decide come comportarsi e che dati fornire. Se il consumatore, ad esempio, è consapevole della presenza di telecamere che studiano il suo comportamento all’interno di uno shop potrebbe decidere di adottare un comportamento invece che un altro e quindi falsare l’acquisizione del dato. L’obiettivo, invece, è quello di rilevare informazioni reali che non siano dettate da alcun tipo di devianza volontaria.
Ci sarà una seconda edizione di Disruptive Data?
È ancora presto per dirlo ma stiamo ragionando su un’eventuale rinnovo. La risposta che abbiamo avuto è stata molto buona, sia da parte dei partecipanti sia dai relatori. Da questo evento sono uscite fuori molte idee che speriamo di sviluppare nei prossimi mesi, vogliamo creare qualcosa di innovativo e allo stesso tempo utile per gli studenti e per il loro futuro, aiutandoli a interagire con le aziende e avere meno problemi nell’approccio col mondo del lavoro.