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Partita iva inattiva: ecco gli obblighi contabili e fiscali da conoscere

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Per i lavoratori autonomi, la partita IVA rappresenta una sorta di “porta d’ingresso” per operare legalmente e in modo indipendente. Tuttavia, non tutti coloro che aprono una partita IVA iniziano immediatamente a esercitare un’attività. Altri, invece, dopo un certo periodo di attività, decidono di sospenderla temporaneamente, senza però chiudere formalmente la posizione. In tutti questi casi si parla di partita IVA inattiva, una condizione che può generare confusione, soprattutto sul piano fiscale e contabile.

In Italia, l’inattività di una partita IVA non è semplicemente una scelta personale, ma una situazione che comporta comunque alcuni obblighi, seppur diversi da quelli richiesti a chi svolge attività in modo continuativo. Capire cosa si intende per inattività, quali sono le conseguenze, se si può emettere fattura o meno, e quanto costa mantenere una partita IVA aperta anche se non utilizzata, è fondamentale per evitare problemi con l’Agenzia delle Entrate.

Molti liberi professionisti o piccoli imprenditori, ad esempio, scelgono di aprire una partita IVA con l’intento di avviare un’attività, ma si trovano poi a non fatturare per mesi, o addirittura per anni. In questi casi, ci si chiede spesso se sia necessario comunicare qualcosa agli enti fiscali, se esistano sanzioni per l’inattività o se sia comunque previsto un costo per mantenerla aperta. E, ancora, se ci sia una procedura per “mettere in pausa” la propria attività.

Tutte queste domande trovano risposta solo se si approfondisce il tema con attenzione, analizzando la normativa vigente e le pratiche adottate in ambito fiscale. Di seguito, un quadro completo e aggiornato per comprendere appieno come comportarsi in presenza di una partita IVA inattiva.

Cosa succede se la partita IVA è inattiva

Quando una partita IVA risulta inattiva significa che, pur essendo formalmente aperta, non viene utilizzata per svolgere attività economiche.

In pratica, non vengono emesse fatture, non ci sono entrate né uscite legate all’attività e non viene svolta alcuna operazione commerciale.

Dal punto di vista dell’Agenzia delle Entrate, però, il semplice fatto che una partita IVA sia aperta implica che il titolare sia potenzialmente operativo.

Questo significa che l’inattività non esonera automaticamente da tutti gli obblighi fiscali.

Ad esempio, anche in assenza di fatturato, può essere necessario presentare dichiarazioni fiscali a zero o mantenere in ordine le scritture contabili, a seconda del regime fiscale adottato (ordinario, semplificato o forfettario).

Inoltre, un’inattività prolungata potrebbe insospettire gli organi di controllo e generare accertamenti o richieste di chiarimento.

È quindi consigliabile mantenere sempre una situazione contabile chiara e giustificabile, anche se non si producono redditi.

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Si può fatturare con una partita IVA inattiva?

La risposta, per quanto possa sembrare ovvia, non è del tutto immediata.

Se una partita IVA è semplicemente inattiva da un punto di vista pratico, ma non è stata sospesa o chiusa ufficialmente, allora è ancora possibile emettere fattura.

In sostanza, il titolare può tornare a esercitare l’attività in qualsiasi momento senza bisogno di alcuna comunicazione preventiva.

Tuttavia, se è stata effettuata una comunicazione formale di sospensione dell’attività all’Agenzia delle Entrate o al Registro delle Imprese (nel caso di ditte individuali), allora non è più possibile emettere fatture finché la sospensione non viene revocata.

In quel caso, l’eventuale emissione di una fattura potrebbe essere considerata irregolare, con conseguenze sul piano fiscale.

Va fatta quindi una distinzione netta tra inattività “di fatto” (nessuna attività svolta ma partita IVA tecnicamente aperta) e inattività “ufficiale” (comunicazione di sospensione). Nel primo caso, la possibilità di fatturare resta aperta, nel secondo è bloccata fino alla ripresa dell’attività.

Quanto costa mantenere una partita IVA inattiva

Anche se non viene utilizzata per svolgere attività economiche, una partita IVA inattiva può comportare comunque dei costi.

Tali costi variano a seconda del tipo di attività, del regime fiscale adottato e della necessità (o meno) di appoggiarsi a un commercialista.

Chi aderisce al regime forfettario e non fattura può trovarsi con costi ridotti, limitati perlopiù al compenso del professionista che si occupa della dichiarazione dei redditi e degli adempimenti fiscali minimi.

In alcuni casi, se non c’è movimento, si può concordare con il commercialista una tariffa ridotta.

Diverso è il discorso per chi opera in regime ordinario o semplificato: anche in assenza di fatturazione, possono essere richiesti adempimenti più complessi e obblighi contabili più stringenti, come la tenuta dei registri IVA o la comunicazione periodica delle liquidazioni.

A ciò si aggiungono eventuali costi fissi come il diritto camerale, obbligatorio per le imprese individuali iscritte al Registro delle Imprese, anche se non operano.

In definitiva, mantenere una partita IVA inattiva può costare da poche decine fino a centinaia di euro all’anno.

Cosa succede se non uso la partita IVA

Non utilizzare una partita IVA non implica automaticamente la sua chiusura.

Tuttavia, un’inattività prolungata può far scattare dei controlli o, in alcuni casi, anche la chiusura d’ufficio da parte dell’Agenzia delle Entrate.

Quest’ultima, infatti, ha la facoltà di chiudere una posizione IVA considerata inattiva se per tre anni consecutivi non vengono registrate operazioni attive o passive.

Tale chiusura, però, non sempre avviene in modo automatico.

Spesso è preceduta da avvisi o richieste di chiarimento da parte dell’amministrazione finanziaria.

Per evitare sorprese, è sempre consigliabile comunicare in modo trasparente l’intenzione di sospendere o cessare l’attività, seguendo le modalità previste dalla legge.

Chi non intende più utilizzare la propria partita IVA dovrebbe valutarne la chiusura ufficiale per evitare costi inutili o situazioni fiscali ambigue.

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Come mettere la partita IVA inattiva

Non esiste una procedura standard per “mettere in pausa” la partita IVA, almeno non nel senso letterale del termine.

Tuttavia, nel caso delle ditte individuali iscritte alla Camera di Commercio, è possibile comunicare la sospensione dell’attività al Registro delle Imprese.

Questa comunicazione ha effetto solo dal punto di vista amministrativo, ma non equivale a una sospensione presso l’Agenzia delle Entrate, che continua a considerare la posizione IVA attiva.

Per i professionisti non iscritti alla Camera di Commercio, non è prevista alcuna comunicazione formale di sospensione.

In questi casi, l’inattività può essere semplicemente registrata come assenza di operazioni, mantenendo però l’obbligo di presentare eventuali dichiarazioni fiscali.

In alternativa, se si è certi di non voler più esercitare attività, è possibile chiudere definitivamente la partita IVA presentando l’apposito modello all’Agenzia delle Entrate.

La riapertura, in futuro, comporterà una nuova richiesta e una nuova attribuzione di numero di partita IVA.

La partita IVA inattiva è una condizione più diffusa di quanto si possa pensare e porta con sé una serie di implicazioni fiscali e contabili da non sottovalutare.

Anche in assenza di fatturazione, l’apertura di una posizione IVA comporta delle responsabilità che non possono essere ignorate.

Capire cosa succede quando una partita IVA non viene utilizzata, se si può comunque emettere fattura, quali costi si devono sostenere e quali comunicazioni è necessario fare, è essenziale per evitare errori che potrebbero costare cari.

In caso di dubbi o incertezze, il consiglio migliore è sempre quello di rivolgersi a un commercialista, in grado di indicare la strada più adatta in base alla propria situazione specifica.