
La presenza del giocatore di football americano Colin Kaepernick nell’ultima campagna promozionale di Nike dal titolo Just do it è stata provvidenziale: di fatto non solo ha decretato un grande successo per l’azienda, ma si è anche scontrata con la cosiddetta pratica del marchio standard. Infatti, mentre la maggior parte dei brand si rivolgono a specifici dati demografici per età, sesso e persino etnia, ben guardandosi dal dichiarare una nota appartenenza politica, Nike si è schierata. Colin Kaepernick è un giocatore di football molto famoso e molto amato in America. Di recente è salita alla ribalta soprattutto per esser diventato il simbolo della protesta contro gli abusi della polizia nei confronti degli afroamericani, cosa che ha scatenato l’ira del presidente Donald Trump.
Attualmente, soprattutto negli Stati Uniti, il mantenimento di un’immagine di marca politicamente agnostica potrebbe non essere possibile in una società sempre più divisa. Che piaccia o no, i brand dovrebbero ormai “schierarsi” nelle polemiche di oggi, per tre principali motivi.
Tre motivi per cui i brand dovrebbero schierarsi
In primo luogo, i marchi sono fatti per unire i prodotti a specifiche emozioni e, a questo punto della storia, la politica e il cambiamento sociale stanno generando una tale quantità di emozioni da far scaturire altre emozioni.
In secondo luogo, Internet ha reso le donazioni aziendali molto più visibili. Un amministratore delegato non può più sostenere una determinata causa, un partito o un candidato senza far arrabbiare l’altra metà della popolazione. E poiché gli animi sono alti, parteggiare per entrambi i lati tende solo a far innervosire entrambe le parti!
Infine, le sanzioni per sostenere la causa “sbagliata” sono più alte, ovvero i boicottaggi sono più facili da avviare, e i dipendenti hanno nuovi modi per organizzare ed esprimere opinioni, non solo tra loro ma in pubblico.
Grandi colossi come Microsoft e Google, ad esempio, hanno entrambi sentito i propri dipendenti lamentarsi e ribellarsi contro il prodotto della loro azienda, utilizzato per aiutare l’ICE ad imprigionare i bambini e i governi oppressivi ad arrestare i dissidenti.
L’innovazione firmata Nike
La Nike è sempre stata innovatrice nello sviluppo del proprio marchio, quindi non sorprende che abbia intrapreso la strada del “prendere posizione”, piuttosto che reagire semplicemente alla crescente divisione della nostra società.
Associando il suo marchio a Kaepernick e al movimento Black Lives Matter, Nike ha di fatto aumentato l’attrattiva del suo marchio in un settore demografico in rapida crescita, giovane, urbano, etnico, dove le persone sono più propense ad acquistare le costose calzature da ginnastica che produce.
Ma allo stesso tempo, Nike ha anche intenzionalmente tagliato un parte demografica di riferimento attualmente in declino, ovvero più vecchia, rurale, più inquadrata e più bianca, che comunque non è mai stato una grande parte del target della loro clientela.
In breve, la campagna di successo Just do it, dove il campione di football Kaepernick dichiara “Non chiederti se i tuoi sogni sono folli. Chiediti se lo sono abbastanza” dimostra che, poiché l’America si sta classificando in due categorie demografiche che si escludono a vicenda e si contraddicono reciprocamente, i marchi che vogliono entrare a far parte delle identità dei loro clienti potrebbero dover decidere quale demografia ha più valore.
Dall’altro lato, visto che la Nike ha attaccato palesemente il Presidente Americano, i sostenitori di quest’ultimo hanno rilanciato il contrattacco attraverso l’hashtag lanciato sui social #NikeBoicott, con il quale invitano appunto a boicottare il marchio.
I due dati demografici opposti negli Stati Uniti non sono privi di un parallelo storico. Quindi, dal punto di vista del marchio, probabilmente tutti avranno bisogno di “prendere posizione” al fine di essere consapevole che, se la storia è una guida, la combinazione tossica tra gli sport, la politica e la religione non avranno un futuro roseo.