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Zero-party data: come le aziende raccolgono dati direttamente dagli utenti

zero-party data

In un contesto digitale sempre più regolamentato e attento alla privacy, le aziende si trovano nella necessità di rivedere profondamente il modo in cui raccolgono e utilizzano i dati dei propri utenti. La fine del supporto ai cookie di terze parti e le normative sempre più stringenti, come il GDPR, hanno reso urgente trovare metodi alternativi per conoscere i bisogni e le preferenze del proprio pubblico. In questo scenario emergono gli zero-party data, una forma di dati forniti direttamente e consapevolmente dagli utenti stessi. A differenza dei dati comportamentali tracciati in modo implicito, gli zero-party data offrono un’opportunità di comunicazione autentica e trasparente, aprendo nuove prospettive per il marketing personalizzato.

Cosa sono i zero-party data e perché sono diversi dai first-party data

Gli zero-party data sono informazioni che gli utenti decidono spontaneamente di condividere con un brand.

Possono includere preferenze personali, intenzioni di acquisto, interessi, feedback o qualsiasi altro dato utile alla personalizzazione dell’esperienza.

La differenza fondamentale rispetto ai first-party data risiede proprio nella modalità di raccolta: mentre i dati di prima parte sono ottenuti indirettamente attraverso il comportamento dell’utente (clic, acquisti, tempo speso su una pagina), i dati dichiarati vengono forniti direttamente dall’utente in risposta a una domanda esplicita o durante un’interazione volontaria.

Questo tipo di dati non richiede strumenti di tracciamento, né interpretazioni algoritmiche, ma si basa sulla volontà dell’utente di essere compreso e servito meglio.

In pratica, gli zero-party data ribaltano il paradigma classico del marketing data-driven: non è più l’azienda a “spiare” il comportamento dell’utente, ma è l’utente stesso a parlare e a raccontarsi.

Vantaggi dei dati dichiarati rispetto ai dati comportamentali

L’aspetto più interessante degli zero-party data è che si tratta di dati di qualità superiore, perché nascono da un’intenzione consapevole.

L’utente sceglie di condividere una preferenza o un bisogno e questa intenzione li rende più accurati e utili per personalizzare prodotti, contenuti e comunicazioni.

Inoltre, i dati dichiarati sono immediatamente utilizzabili e non necessitano di interpretazioni complesse, riducendo anche il margine di errore tipico dell’analisi comportamentale.

Dal punto di vista del rapporto tra brand e utente, questi dati rappresentano un patto di fiducia.

Se vengono raccolti in modo trasparente e usati con coerenza, possono migliorare la percezione dell’azienda e rafforzare il legame con il pubblico.

Un altro vantaggio importante è la conformità alle normative sulla privacy: non essendoci tracciamenti nascosti o sorprese, l’utente resta in pieno controllo dei propri dati.

Tecniche per raccogliere zero-party data in modo non invasivo

Raccogliere zero-party data non significa solo chiedere informazioni: significa costruire un’esperienza di valore in cui l’utente sia motivato a condividere ciò che sente utile per sé.

È importante che la richiesta di dati avvenga in un contesto di fiducia e con un ritorno percepito chiaro e concreto. Non si tratta di interrogarlo, ma di coinvolgerlo.

Tra le tecniche più efficaci ci sono i quiz interattivi, i sondaggi dinamici, la richiesta di preferenze esplicite al momento della registrazione o durante il percorso utente.

È importante che questi momenti non siano percepiti come una barriera, ma come un arricchimento dell’esperienza.

Quiz, sondaggi, preferenze esplicite

I quiz personalizzati sono tra gli strumenti più usati per raccogliere zero-party data, soprattutto nel settore e-commerce.

Ad esempio, un brand cosmetico può proporre un quiz per consigliare la skincare ideale: l’utente fornisce spontaneamente informazioni su tipo di pelle, routine abituale e obiettivi, e in cambio riceve suggerimenti personalizzati.

Anche i sondaggi, se ben contestualizzati, possono essere percepiti come un’opportunità per contribuire attivamente alla proposta del brand.

Un buon esempio è la richiesta di feedback dopo un acquisto o un’esperienza di navigazione. In questo caso, il dato fornito ha un valore strategico e operativo immediato.

Infine, chiedere preferenze esplicite all’interno del proprio profilo o nel momento dell’iscrizione a una newsletter permette di raccogliere dati duraturi e aggiornabili.

Ad esempio, un utente può indicare quali temi desidera ricevere, con quale frequenza, e su quali canali.

Programmi fedeltà e registrazioni volontarie

Un altro contesto efficace per la raccolta di zero-party data è quello dei programmi fedeltà.

Quando un utente si iscrive a un programma a punti o a una membership esclusiva, è spesso disposto a condividere una serie di dati in cambio di benefici concreti.

Questo scambio può avvenire anche in fasi successive, evitando una richiesta troppo onerosa inizialmente.

Le registrazioni volontarie (account, app mobile, aree riservate) offrono molte occasioni per raccogliere dati in modo progressivo.

Se si adotta un approccio modulare, che guida l’utente in micro-step, si ottiene una mappatura ricca e precisa senza frizioni.

Come utilizzare gli zero-party data per personalizzare l’esperienza utente

Una volta raccolti, gli zero-party data possono alimentare l’intero ecosistema digitale del brand, dai contenuti personalizzati alla segmentazione delle campagne marketing.

Si tratta di costruire percorsi su misura, in cui l’utente si riconosce e si sente valorizzato.

Ad esempio, in un CRM avanzato è possibile creare flussi che si adattano in tempo reale in base alle preferenze dichiarate.

Se un utente ha indicato interesse per i prodotti sostenibili, riceverà comunicazioni coerenti, offerte mirate e contenuti editoriali in linea con quel valore.

Questo tipo di personalizzazione rafforza la relazione e riduce la percezione di comunicazione promozionale invadente.

Gli zero-party data rappresentano una risorsa strategica sempre più cruciale per le aziende che vogliono costruire relazioni autentiche con i propri utenti.

In un’epoca in cui la privacy è al centro dell’attenzione, offrire un’esperienza trasparente, personalizzata e basata su dati volontariamente condivisi non è solo una scelta etica, ma anche un vantaggio competitivo.

Sfruttare gli zero-party data significa passare da una logica di sorveglianza a una logica di collaborazione.

Gli utenti non sono più oggetti da tracciare, ma interlocutori attivi, disposti a raccontare ciò che desiderano se viene loro offerta l’occasione giusta.

La chiave è ascoltare, comprendere e restituire valore. E il marketing del futuro, quello sostenibile, umano e rispettoso, non può che partire da qui.

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