
Con la fine delle restrizioni legate alla pandemia e l’adozione di modelli di lavoro ibrido, il ritorno in ufficio ha assunto nuove connotazioni. Non si tratta più soltanto di una questione logistica o organizzativa, ma di un vero e proprio posizionamento personale.
In questo contesto, è emerso un fenomeno curioso ma significativo: l’office peacocking. Un comportamento che, sebbene parta dalla scelta di cosa indossare o da come presentarsi nel luogo di lavoro, ha implicazioni ben più profonde.
L’ufficio torna così a essere una vetrina sociale, un palcoscenico dove si gioca la partita dell’identità professionale. E con essa, anche quella dell’ambizione, della competizione e del desiderio di riconoscimento.
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Cos’è il fenomeno dell’office peacocking
Il termine “peacocking” deriva dall’inglese “peacock”, ovvero pavone, noto per la sua attitudine a farsi notare grazie al piumaggio vistoso.
Trasposto in ambito lavorativo, l’office peacocking indica il comportamento di coloro che, tornando in ufficio, curano in modo meticoloso il proprio aspetto, la postura, il linguaggio e perfino la postazione di lavoro, al fine di distinguersi e guadagnare visibilità.
Non si tratta di semplice vanità, ma di una strategia consapevole, spesso alimentata dalla necessità di emergere in contesti aziendali sempre più fluidi e competitivi.
Questo fenomeno si manifesta attraverso l’adozione di outfit studiati, l’uso di accessori eleganti, l’esibizione di competenze durante riunioni in presenza, o la disponibilità a conversazioni informali che rafforzano i legami con i vertici aziendali.
In molti casi, l’office peacocking diventa una risposta al timore dell’invisibilità, alimentato da mesi di lavoro remoto e schermi condivisi.
Perché alcuni lavoratori preferiscono tornare in ufficio per farsi notare
Il ritorno in ufficio non è percepito da tutti come una mera imposizione.
Per alcuni, rappresenta una vera opportunità di riscatto, o semplicemente di consolidamento della propria posizione all’interno del team.
L’ambiente fisico dell’ufficio consente infatti dinamiche relazionali che lo smart working non permette: l’interazione spontanea, il passaparola tra colleghi, l’osservazione diretta delle proprie performance da parte dei manager.
In questo scenario, l’office peacocking diventa una strategia utile per farsi notare, riaffermare il proprio ruolo e talvolta anche scalare posizioni.
Chi sceglie di rientrare volontariamente in sede lo fa spesso anche per presidiare uno spazio di visibilità, dove ogni gesto, ogni parola e ogni elemento estetico può contribuire alla propria narrazione professionale.
In un’epoca in cui l’identità lavorativa si gioca anche online, il ritorno fisico in ufficio consente di tornare a “recitare” dal vivo, con tutti i vantaggi che questo comporta in termini di impatto e riconoscibilità.

Impatti culturali e manageriali dell’office peacocking
Dal punto di vista culturale, l’office peacocking solleva interrogativi interessanti. Innanzitutto mette in luce il bisogno umano di essere visti e riconosciuti, anche (o soprattutto) nel contesto professionale.
Ma al tempo stesso evidenzia possibili squilibri nei sistemi di valutazione delle performance.
Se chi è più visibile viene anche percepito come più competente o più impegnato, si rischia di penalizzare chi lavora con efficienza da remoto o chi non ha interesse a investire energie nell’auto-promozione.
Dal punto di vista manageriale, il fenomeno richiede attenzione e consapevolezza.
Non si tratta di scoraggiare chi desidera prendersi cura della propria immagine o costruire relazioni in presenza, ma piuttosto di garantire equità di trattamento e trasparenza nei criteri di valutazione.
Un ambiente dove il merito viene riconosciuto anche a chi opera in modalità ibrida o completamente da remoto sarà meno incline a generare conflitti o tensioni legate alla visibilità.
Inoltre, la gestione dell’office peacocking impone una riflessione più ampia sull’identità aziendale.
Qual è l’immagine che si vuole veicolare? Quali comportamenti vengono premiati realmente, e quali invece solo percepiti come vincenti? Le risposte a queste domande possono orientare politiche HR più consapevoli e inclusive.

Come gestire il fenomeno in modo equilibrato in azienda
Gestire l’office peacocking non significa reprimere l’individualità dei collaboratori o negare l’importanza della presenza fisica, ma creare un ambiente in cui la visibilità non si trasformi in una forma di pressione o di competizione malsana.
Un primo passo potrebbe essere quello di esplicitare con chiarezza le metriche con cui vengono valutate le performance, evitando che la presenza in ufficio diventi un criterio implicito di giudizio.
Favorire momenti di confronto strutturati, anche in modalità ibrida, aiuta a riconoscere i contributi di tutti, indipendentemente dalla loro presenza fisica.
Allo stesso tempo, può essere utile promuovere una cultura della cura, in cui l’attenzione all’immagine personale sia valorizzata come espressione di professionalità, senza però sfociare in dinamiche di confronto continuo.
I manager hanno un ruolo cruciale in questo processo.
Con il loro esempio, possono dimostrare che la sostanza conta quanto la forma, e che la visibilità non è l’unico modo per costruire una reputazione solida.
Un manager capace di dare spazio a competenze diverse, anche lontano dai riflettori, contribuisce a costruire un ambiente di lavoro più sano e sostenibile.
Trovare l’equilibrio tra presenza e performance
La sfida del nuovo contesto lavorativo sta tutta qui: trovare un equilibrio sostenibile tra presenza e performance.
L’office peacocking è un segnale, un sintomo di un mondo del lavoro in trasformazione. Chi lo abbraccia, lo fa spesso in buona fede, nel tentativo di riconquistare spazio, voce e identità.
Tuttavia, è fondamentale che questo comportamento non diventi l’unica via per ottenere attenzione o avanzamenti di carriera.
La vera sfida per le organizzazioni è quindi culturale: costruire ambienti dove la visibilità non sia una condizione necessaria per il riconoscimento, ma una delle tante modalità con cui si può esprimere il proprio valore.
In questo senso, la consapevolezza del fenomeno può diventare un’opportunità per ripensare le dinamiche interne, migliorare la comunicazione e valorizzare la diversità dei profili presenti in azienda.
Il fenomeno dell’office peacocking racconta molto più di un semplice desiderio di apparire.
Parla di identità professionale, di bisogno di appartenenza, di competizione e di strategie di sopravvivenza in un mondo del lavoro sempre più esigente.
Tornare in ufficio, per alcuni, significa tornare a contare. Per questo motivo, è importante che le aziende imparino a leggere questi segnali e a rispondere in modo equilibrato, promuovendo una cultura dove la presenza fisica è solo una delle tante forme di partecipazione, e dove il valore delle persone non si misura solo in metri percorsi tra scrivania e sala riunioni, ma nella qualità e nella coerenza del loro contributo.