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I dark pattern: il lato oscuro del design persuasivo secondo GreatPixel

I dark pattern: il lato oscuro del design persuasivo secondo GreatPixel

A cura di Giovanni Pola*
Il fenomeno delle fake news ha probabilmente raggiunto il suo apice durante le ultime elezioni presidenziali USA, lo scorso novembre 2016. Notizie che, a detta di molti, avrebbero addirittura condotto l’audience verso una scelta di voto diversa da quella di partenza. Allargando il contesto di riferimento, e pensando anche a casi italiani come il noto “Il Fatto Quotidaino”, i danni visibili delle fake news sono solo la punta di un iceberg di esperienze digitali pensate proprio per spingere l’utente a prendere delle decisioni sbagliate e, nel caso delle false notizie, creare traffico inutile verso contenuti che in realtà non sono veri.

Il ruolo del design persuasivo

Il meccanismo attivato dalle fake news, durante il dialogo con gli utenti, è lo stesso messo in atto dalle aziende che ormai concepiscono la rete come un gigantesco test psicologico e cercano di sfruttare a loro vantaggio quei malfunzionamenti o quei meccanismi naturali che il nostro cervello utilizza per prendere decisioni nel minor tempo possibile. Si tratta di strategie derivate dalla UX e nello specifico dal design persuasivo, disciplina che si sviluppa intorno al processo decisionale dell’utente.
Condurre il consumatore a una decisione finale è il risultato di un lavoro che parte dall’azienda e passa dal contributo di consulenti marketing e di design che hanno il compito di fare da intermediari fra l’azienda stessa e i consumatori, decidendo le tecniche di design persuasivo che si possono, si devono o non si dovrebbero utilizzare. Se al termine di questo processo il consumatore non riesce a prendere una decisione per un errore dell’azienda, del designer o del consulente allora l’errore è un errore di strategia, di usabilità, e viene definito “anti-pattern”. Se invece l’utente arriva a prendere una decisione che in realtà non era contemplata, ma per cui è stato indotto attraverso una serie di sotterfugi, in questo caso non si parla più di errori di usabilità ma si parla di un fenomeno ben specifico chiamato “dark pattern”.

Dark pattern, questo sconosciuto

Consultando vari siti anglofoni, il materiale relativo ai dark pattern è davvero molto, in Italia, di questo fenomeno derivato dalla UX si parla ben poco, se non per nulla. Si tratta però di meccanismi sempre più utilizzati da parte delle compagnie che hanno come obiettivo proprio quello di aumentare il numero di decisioni inconsapevoli da parte degli utenti. Provando a dare una definizione: i dark pattern sono un’interfaccia attentamente predisposta per convincere gli utenti a prendere delle scelte che non avrebbero mai preso avendo chiare tutte le informazioni di un determinato contesto. È design persuasivo anche questo ma è design persuasivo non etico.
Come in parte anticipato, i dark pattern agiscono attraverso due semplici procedimenti: da una parte vengono implementate tecniche e modelli per rendere chiara l’azione che si vuole far compiere all’utente, in modo da renderla il più semplice possibile e far arrivare l’utente a una risoluzione rapida del suo problema; dall’altra vengono sfruttati dei malfunzionamenti, o quei meccanismi naturali che il nostro cervello attiva per prendere delle decisioni che in realtà l’utente non avrebbe preso in situazioni differenti.

dark pattern
Prodotti inseriti a carrello senza avviso: un classico dark pattern

La sfida di GreatPixel e l’Experience Design Academy

Ovviamente, ci sono tutta una serie di bias cognitivi, degli errori di valutazione basati su pregiudizi, automatismi o schemi mentali. Sfruttare questi canali significa sfruttare i cosiddetti “grey pattern”. Il riconoscimento sociale, ad esempio, è un classico meccanismo automatico per cui il nostro cervello prende delle decisioni più velocemente in alcuni contesti rispetto ad altri: se un prodotto che sto cercando ha commenti o voti positivi sarà più facile prenderlo in considerazione per un eventuale acquisto, viceversa, sarà più semplice scartarlo.
La sfida, oggi, è capire quanto siano efficaci i dark pattern nel momento in cui l’utente sia consapevole della loro natura, e quanto invece funzionino con gli utenti totalmente inconsapevoli di ciò. La maggior parte delle persone, per fare un altro esempio, è consapevole che usando WhatsApp cederà i propri dati a terzi (leggi Facebook) ma è una condizione che viene ampiamente accettata pur di usufruire di quel servizio. Bisogna quindi capire se i dark pattern funzionano solo se implementati attraverso il design persuasivo oppure no.
Le modalità con cui implementare i dark pattern all’interno di una pagina online sono multiple e per approfondire il fenomeno, l’Experience Design Academy di PoliDesignGreatPixel e Personalive lancerà il prossimo 21 giugno il primo progetto in Italia che intende rilevare, descrivere e classificare i dark pattern.
*Giovanni Pola si occupa di digital marketing da oltre 18 anni come imprenditore e consulente. Ha partecipato a diverse iniziative imprenditoriali, fra cui Netpeople (business unit del system integrator Visiant) con cui ho collaborato dal 2003 al 2006 e Connexia, società specializzata in PR, Web e Social media marketing, di cui è stato socio e direttore generale dal 2007 fino al gennaio 2013 . Nel 2007 (con la Business School del Politecnico di Milano e Nielsen) ha partecipato alla fondazione dell’Osservatorio Multicanalità del cui board ha fatto parte fino al 2012.
Oggi è ceo di ProCommerce e GreatPixel, nuovissimo brand nato con l’obiettivo di realizzare user experience efficaci e misurabili nei risultati, unendo alle tecnologie legate al data analytics l’approccio human driven.