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3 modi sorprendenti per migliorare il processo decisionale

3 modi sorprendenti per migliorare il processo decisionale

Di fronte alla volontà di prendere decisioni, alcune persone sono veloci e decisive. Altre, al contrario sono all’opposto, diventando “cognitivamente menomati” quando vengono posti di fronte ad una scelta.
È possibile però utilizzare strumenti che rendano più facile il processo decisionale. C’è la vecchia tattica di fare una lista di pro e contro, e questa può aiutare sia nella vita di tutti i giorni, sia nel settore professionale.   

Fortunatamente, nelle impostazioni aziendali ci sono spesso più strumenti di cui si può essere a conoscenza, afferma Steven Johnson. Critico dei new media che ha scritto nove libri incorporando tra loro scienza, economia e tecnologia, tra cui Everything Bad Is Good For You, ed editi in Italia anche “Dove nascono le grandi idee. Storia naturale dell’innovazione”, “Un futuro perfetto. il progresso ai tempi di internet”.

Il nuovo libro di Johnson

Nel suo nuovo libro Farsighted: How We Make the Decisions That Matter the Most, (come prendiamo le decisioni che contano di più), lo scrittore Johnson presenta casi di studio e riflessioni su alcune delle decisioni più importanti della nostra vita, dal lato personale (se sposarsi) a quello geopolitico (come sconfiggere Osama bin Laden).
Johnson esamina l’ampiezza della ricerca nel processo decisionale ed osserva alcuni casi storici degni di processi complessi (come, ad esempio, la lotta di Charles Darwin per pubblicare la sua ricerca mentre era sposato con una religiosa con la quale le sue credenze contrastavano).

Nel corso dei suoi studi, Johnson ha scoperto alcune strategie utili e sorprendenti per giungere ad una decisione e aumentare le probabilità di un esito positivo. Ecco quindi tre suggerimenti che possono aiutare a scegliere in maniera semplice e diretta.
 

Non bisogna essere troppo decisi

Johnson avverte: il più grande errore che i leader aziendali fanno nel prendere decisioni è l’utilizzo  di una sicurezza eccessiva. “La decisività va bene per le scelte più semplici nella vita“, dice. “Ma quando si arriva a un bivio fondamentale, la deliberazione è molto più importante della risolutezza”.

Anche se hai un forte istinto, prenditi una settimana per non prendere subito la decisione.
Johnson cita il lavoro del professore di management Paul Nutt, che ha studiato a lungo la tecnica (o la sua mancanza) impiegata nel prendere centinaia di decisioni aziendali. Nutt ha dunque scoperto che esisteva un vantaggio significativo per le persone che avevano impiegato del tempo all’inizio del loro processo per esaminare diverse opzioni o per cercare attivamente di diversificare le opzioni disponibili. Per la maggior parte dei soggetti, però, “non c’era uno lasso di tempo in cui si dicesse: ci sono altre scelte qui?”, ovvero prendendo in considerazione altre possibilità e, in effetti se si attua bene anche quella parte dell’esercizio, si avranno più probabilità di essere soddisfatti del risultato.

 

Coinvolgere altre persone per avere altre prospettive

Una parte importante di questo processo in un’azienda è la diversità nel gruppo di persone che prendono la decisione“, afferma Johnson. Una moltitudine di studi supporta l’idea che gruppi cognitivamente diversificati prendano decisioni migliori e decisamente più inventive. Anche i grandi gruppi, se sono composti da persone con idee simili, hanno prestazioni inferiori rispetto a gruppi che contengono una vasta gamma di punti di vista. “È la natura di un problema complesso”, dice ancora Johnson. Mentre osserva che raggiungere un consenso può essere più controverso quando la forza lavoro è diversificata, il metodo è in grado però di offrire soluzioni di gran lunga migliori, infondendo il processo con creatività intrinseca ed evitando il pensiero di gruppo.

 

Condurre un “pre-mortem”, ovvero prepararsi al peggio 

Ora che si conoscono gli obiettivi e una serie di strategie per raggiungerli, si è pronti per effettuare una decisione. Quindi, infine è necessario porsi un’unica domanda: come sarà il futuro?

Si tratta di un concetto psicologico che Gary Klein ha soprannominato “pre-mortem” e che essenzialmente consiste nel porre la domanda: se il paziente muore … cosa ha causato che ciò accada? Visualizzando l’inverso di come appare un esito positivo della decisione (“Se in due anni, questa decisione si rivelerà essere stata un disastro, perché dovremmo prenderla?”). Le persone e i team si aprono e servono anche ad un più creativo elaborare e collaborare, laddove possono vedere alcuni difetti che potrebbero altrimenti essere trascurati.

Sembra strano, ma Johnson è convinto che la premeditazione sia cruciale per il contesto aziendale, specialmente quando anche le decisioni ben intenzionate possono avere conseguenze di vasta portata e potenzialmente dannose. “In qualsiasi attività in un campo dirompente o social media che incasina gli incumbent o le credenze sfidanti, spetta a queste società gestire i principi sui loro concetti“, afferma. “Facebook avrebbe dovuto prendersi il tempo per dire: ‘Come potrebbe essere manipolato da attori cattivi? Questo dovrebbe essere un imperativo etico da porsi sempre”.

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